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Una storia di
Francesca Barsotti da Treviso

La vecchina

Entrai in casa di mio zio con le sue chiavi. Lui non c’era più. Solo caos, polvere e un forte odore di chiuso ad accogliermi. Attraversando l’ingresso scavalcai alcune bottiglie di latte vuote. In salotto vidi una poltrona rovesciata, due sedie rotte, una tenda strappata. Sul pavimento un paio di ciabatte blu: le sue. Accanto giaceva un pesante busto di terracotta caduto dal piedistallo in ferro battuto: un cristo. Un povero cristo, come lui. Tutto in quella casa parlava di paura. Pile di bollette conservate da decenni perché “non si sa mai”.

Lampadine. Telecomandi. Batterie. Una macchina da cucire perché “le sarte non si trovano più”. Vecchie biciclette rimesse a nuovo perché “in garage si rovinano”. Una stufa a legna inserita nel caminetto perché “potrebbe venire a meno il gas”. In camera, il puzzo di naftalina mi strinse lo stomaco. Le tarme che si impadroniscono di armadi e cassetti e divorano tutto: una vera ossessione per lui e, prima, per sua madre. Stessa camera, stessa ossessione. L’armadio: pieno zeppo. Soprattutto camicie. Tante. Nuove. In un cassetto trovai la sua pagella di quinta elementare, un orologio Revue e una spilla d’oro con una perla e due piccoli brillanti. Abbandonati, o forse nascosti, tra maglie di lana e compresse di naftalina. Paura e oblio. Mi prese una gran voglia di uscire. Per respirare la tramontana che sferzava le mimose in fiore.

Solo qualche minuto, zio. Solo un po’ di giallo negli occhi. Nel frutteto il sole tramontava dietro la ficaia. Il freddo pungeva a sangue. Rientrando, lo sguardo mi cadde su una statuina di terracotta dipinta: una vecchia seduta. Arretrai di un passo, accarezzai la polvere che le ricopriva il capo e la compatii pensando che sarebbe rimasta sola in una casa piena di cose.

I capelli candidi raccolti dietro la nuca, una mantellina rosa antico sulle spalle e una ciotola vuota in grembo. Me la ricordavo, quella donnina esile, sempre sul punto di scivolare dalla seggiola un po’ sbilenca. Da tanti anni non aveva più il suo compagno, la statuina di un vecchio. Caduta e andata in pezzi. Anche lei. Una fatalità. Un’altra. La vecchina era rimasta con lo zio fino all’ultimo, aveva vegliato su di lui immobile finché la misericordia non se l’era portato via.

E aveva atteso il suo ritorno. Stava ancora lì: a suo modo, viva.

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